Garrincha – “Manè”, l’angelo dalle ali storte

Strabico, spina dorsale deformata, bacino slogato, gamba sinistra più corta rispetto all’altra di sei centimetri, ginocchio destro inclinato verso l’interno e sinistro verso l’esterno, poliomelitico in acerba età. Grazie ai progressi dell’eugenetica queste complicazioni non occuperanno più la cartella clinica di un adolescente e non desteranno più la disillusione genitoriale per non aver ricevuto dalla cicogna il bel fusto tanto agognato. Al neonato di cui parlerò in queste righe trascurabili, è stata negata una costituzione degna della grazia divina e ancor fanciullo l’idoneità sportiva. Il talento gli regalerà due mondiali, in barba ai medici e a quell’involucro fragile in cui vi era tanto talento da far titolare i giornali cileni in una celebre prima pagina calcistica: “Da che pianeta viene Garrincha?”

Quindici fratelli, padre alcolista, nato nel 1933 in una delle baraccopoli più umili tra i mille angoli di disperata povertà che il brasile del binomio gnocca & carnevale  continua a celare all’occidente. Insieme alle complicazioni sopra descritte,  la tragica vicenda umana del “Chaplin del calcio” farebbe intenerire anche un nazista fuggito sotto falso nome nella pampa argentina. La scuola non fa per lui, così a quattordici anni comincia a lavorare in una fabbrica tessile. Licenziato per pigrizia, viene reintegrato dal boss per farlo giocare nel suo club. Quell’anatroccolo “mezzo stupido” col pallone tra i piedi diventa un cigno.

Ala destra, il dribbling la sua arte. Finte, controfinte, cambi di velocità, un campionario di antiquariato del controllo di palla rinverdito dalla moderna moda del freestyle e i difensori mandati a raccoglier castagne, uno ad uno, fino all’area di rigore, dove “Manè” preferiva spesso l’ assist ad una soluzione individuale, benché l’ostinazione nel cercare di dribblare il Joao di turno (neologismo calcistico applicato al suo marcatore, di partita in partita, senza distinzioni tra Facchetti e il calciatore amatoriale) anziché esser letta come il suo atto d’amore al calcio fosse interpretato come egoismo, specie agli albori della sua audace carriera. Era dotato inoltre di una caratteristica e primitiva trivela detta anche “tiro a banana” per l’effetto con cui i palloni calciati si involavano alle spalle del portiere di turno, effettuata con la punta esterna del piede destro. il piede destro, il pennello prediletto di uno dei maggiori artisti degli stadi carioca e del mondo intero. Altro pennello a lui caro era quello che il pur monco e disgraziato Garrincha aveva tra le gambe, ben saldo e energico. Zoofilo, la prima volta la consumò con una capra, nessuno sa se consenziente. La prima moglie a diciotto anni, per riparare ad una gravidanza indesiderata, il primo figlio dei quattordici complessivi.  Chiaro esempio di una attività sessuale fuori dal comune e fuori controllo, amava frequentare bordelli consumando sin da adolescente smodate quantità di alcolici e tabacco, che lo porteranno ad una morte prematura in condizioni di insolita povertà e degrado per una gloria mondiale del calcio, per le conseguenza di una terribile cirrosi epatica e di un edema polmonare. I medici che si occuparono dell’autopsia parlarono di un corpo sfinito dagli abusi e dalla dissoluzione.

Semplice, ingenuo, l’ambizione e l’avidità gli erano così straniere da firmare contratti in bianco con i propri club. Un marziano dunque, al di là dell’aspetto calcistico, se solo pensiamo alla moderna evoluzione della figura del calciatore. Un aneddoto, anzi due, inevitabili quanto leggendari per descriverne il temperamento degno di un fanciullo (arrapato, è il caso di dire). il primo: Svezia, finale del mondiale del 1958, mentre tutti si stringevano intorno a Pelè in lacrime, Garrincha si avvicinò al proprio capitano chiedendo che diavolo stesse accadendo e quando gli dissero che il Brasile era Campione del Mondo, lui ingenuamente chiese: “Ma il ritorno quando la giochiamo?”. Due: Al ritorno dalla trasferta trionfale in Svezia, la selecao era attesa dal Governatore di Rio che, dopo la cerimonia di accoglienza, annunciò ai giocatori che avrebbero avuto in premio una villa sulla spiaggia. Garrincha rispose che non gli interessava la villetta,ma la liberazione della colomba che era stata tenuta in gabbia per tutto il tempo della cerimonia.

Passando di provino in provino in un clima di eterna incredulità e generando folli liti dirigenziali a causa della divergenza tra staff medico che ne negava l’abilità motoria e gli allenatori che si stroppiciavano gli occhi davanti a giocate mai viste, la sua carriera calcistica si svolge in una fase in cui i primi calciatori che espatriavano per giocare nei club europei e ricorprirsi d’oro spesso perdevano la nazionale a causa delle difficoltà logistiche di un tempo. Fu così che Garrincha divenne ala destra titolare del Brasile di Pelè, poiche Julinho, suo predecessore, venne acquistato dalla Fiorentina. La selecao, con lui in campo, non perse nessun incontro su cinquanta totali. Pelè e Manè azzeravano la competizione avversaria non meno di quanto fecero le due atomiche lanciate dagli yankee sul Giappone decenni prima. Nel 1958 in Svezia, dopo aver saltato i primi due incontri della rassegna poiché rinvenuto più volte ubriaco e perché fu ritenuto, insieme a Pelè, inadeguato per insufficienza mentale persino allo sport dallo psicologo della nazionale (un ottimo esempio di quanto poco serva pensare, se si hanno piedi di tale raffinatezza, e di quanto lo psicologo a volte possa essere più inutile di uno spazzaneve in Etiopia), fu schierato titolare nel terzo match imposto dai senatori dello spogliatoio,  giocando “i tre minuti più devastanti della storia del calcio”: una traversa, un tiro salvato con un miracolo da Yashin, un irresistibile assist finalizzato da Pelè.

Aumenta di peso almeno quanto si acuisce la sua passione per la cachaca, la sua bevanda alcolica preferita. Completamente sbronzo, investe il padre nel cortile di casa. Salta amichevoli e allenamenti e sparisce per giorni, fino a che la caccia al fuoriclasse non si conclude nella bettola di turno. Tuttavia, il mondiale del Cile del 1962 viene ricordato come il mondiale di Garrincha, con Pelè infortunato, è il leader assoluto. il Brasile vince il mondiale a suon di reti del suo numero 7, che in semifinale dopo aver segnato una doppietta, prende a pugni un avversario, viene espulso e costretto a saltare la finale se non fosse per l’intervento tempestivo del governo brasiliano che ottiene la revoca della squalifica. E’ l’epopea, il plateu di una carriera in cui il picco è così vertiginoso da farlo precipitare nell’oblio più buio e silenzioso.

Per quanto riguarda la sua carriera in squadre di club, la maglia che amò di più fu quella del Botafogo, con la quale nell’arco di dodici stagioni vince tre titoli di Sao Paulo e due campionati Carioca, segnando oltre 230 gol. Nel 1966 passa al Corinthians e poi per periodi brevi in Colombia, Francia e flamengo, anche se la sua epoca d’oro è già passata, i problemi al ginocchio e la conseguente operazione ne minarono infatti la celebre abilità nella corsa sbilenca e nei cambi di passo. Finisce persino in Italia, in completo declino, e gioca per brevi periodi in una squadra dopolavoristica di Torvaianica. Da qui in poi le notizie si perdono, e se si hanno, hanno a che fare con le sue comparsate al carnevale e i suoi problemi quotidiani. Lasciato dall’ultima moglie per le percosse a cui la destinava, ebbe altre amanti e consumò cantine intere, fino a che non si spense senza un tetto fisso a quarantanove anni nel 1983, celebrato postumo da poeti, biografi, registi e posto come ottavo miglior giocatore della storia dalla Fifa, secondo solo a un altro brasiliano, il suo compagno e amico, Pelè.

Un celebre aforisma brasiliano lo racconta meglio di qualsiasi cosa che non siano le sue magie sull’erba carioca: quando parli di Pelè a un vecchio brasiliano questo si toglie il cappello in segno di devota gratitudine, se gli parli di Garrincha, il vecchio si mette a piangere.

“Manè” e quel diabolico dribbling palla al piede nei confronti di intere difese e poi della vita, ma non della bottiglia, l’unico Joao capace di fermarlo.

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